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Mountain Freedom, Free climbing, Alpinismo, Arrampicata Escursioni. Mountain Freedom, Free climbing, Alpinismo, Arrampicata Escursioni.

Shisha Pangma 2005




Lo Shisha Pangma è il più “basso” dei 14 ottomila del pianeta (8012 mt.), ma non per questo meno impegnativo. Si trova nella catena montuosa dell’Himalaya interamente in territorio tibetano. E’ un picco enorme con una parete est lunga, ripida e scoscesa. Il suo nome significa “Cresta sui pascoli”, mentre in dialetto indostano viene chiamata Gosainthan che vuol dire “Luogo dei santi”. E’ stato uno degli ultimi 8000 ad essere scoperto, esplorato e scalato: le cause di questo ritardo sono da imputare sia alla posizione geografica, molto più a nord rispetto alle altre vette himalayane, sia e soprattutto all’invasione cinese del Tibet che ha prodotto un isolamento della regione per vari anni. La prima grande spedizione che tentò di salire la vetta dello Shisha PangmaConcatenamento Shisha Pangma - Cho Oyu, nel 1964, fu una spedizione cinese a cui seguirono altri gruppi alpinistici di varie nazionalità. Attualmente la via più seguita per l’ascensione è quella del versante nord (via cinese). Per giungere alla base della montagna si parte da Kathmandu per arrivare al confine cino-tibetano da dove, attraverso una lunga strada scavata sui fianchi delle montagne, si arriva all’abitato di Nyalam a 3750 metri di quota dove si rimane un paio di giorni. Il viaggio prosegue poi in jeep sugli altopiani tibetani fino al Campo Base cinese posto a 5000 metri. Altri due giorni sono necessari per l’acclimatazione, dopodichè si caricano i materiali sugli yak e da lì, a piedi con una tappa intermedia, si arriva dopo venti chilometri fino al Campo Base ai piedi della grande montagna a quota 5400 metri. Montato il campo, dopo un periodo variabile di acclimatazione, si montano delle tende deposito a 5900 metri, in prossimità del grande ghiacciaio dello Shisha. Superata la prima parte del ghiacciaio, molto tormentata ed irregolare, si attacca il grande pendio che porta al plateau superiore dove si monta il Campo I a 6400 metri. Da qui si sale verso nord-est la conca glaciale arrivando fino al Campo II posto a circa 7000 metri. Rimontando la cresta nord (40-45 gradi di pendenza) si arriva ad una zona pianeggiante, molto esposta ai venti, dove si può piazzare un altro campo a 7400 metri. Da quest’ultimo campo si continua a salire lungo la dorsale fin dove il pendio diventa più ripido (50-55 gradi). A quota 7500 metri si può, se le condizioni lo permettono, traversare verso sinistra per raggiungere la vetta principale; altrimenti si tira dritto, si contorna uno sperone roccioso, si raggiunge la cresta ovest e poi sulla seconda cima a 8006 metri. Si potrebbe raggiungere da lì la vetta principale ma la cresta di unione fra le due è molto affilata. La discesa avviene per la stessa via di salita. Percorrendo una storica via commerciale si arriva ai piedi della sesta montagna al mondo per altezza, il Cho Oyu alto 8201 metri.

Il Cho Oyu si trova al confine tra Nepal e Tibet, ma l'avvicinamento avverrà dalla parte del Tibet per arrivare direttamente nelle vicinanze della cresta Nord-ovest, quella scelta per l'ascesa. Statisticamente questa montagna offre meno resistenza all'ascesa nel periodo pre-monsonico, cioè in primavera, mentre nel periodo dei primi mesi d'autunno,Cho Oyuperiodo post monsonico, si trovano più difficoltà dovute all'irrigidimento delle temperature e dal fatto che sui pendii si accumula più neve. La prima ascensione in assoluto fu portata a termine il 19 ottobre del 1954 dai fortissimi austriaci Hebert Tichy e Sepp Jochler e dal nepalese Pasang Dawa Lama. Mentre, la prima ascensione italiana fu intrapresa da Reinhold Messner e Hans Kamerlander nel 1983. Aperta dagli austriaci di Tichy nel 1954, la via si snoda lungo il versante nordovest e presenta un paio di punti mediamente "tecnici", costituiti da una fascia rocciosa e da un "muro" di seracchi, le cui condizioni variano a seconda dell'innevamento e delle stagioni. Il plateau terminale costituisce un impegno soprattutto dal punto di vista psicologico, essendo veramente vasto e richiedendo una lunga progressione. Richiede particolare attenzione in caso di nebbia o cattiva  visibilità : Il Cho Oyu, Quwowuyag per i tibetani.perdersi sul plateau può costituire l'unico vero rischio della montagna. Per questo quasi tutte le spedizioni predispongono delle bandierine per marcare la traccia in caso di maltempo. Si tratta comunque di una magnifica salita, mai banale, di grande respiro e con panorama mozzafiato sul vicinissimo versante nord dell'Everest. Dal ghiacciaio Gyabrag, si sale una facile morena e una cresta rocciosa fino a quota 6446 m. Poi, si segue lunga e facile cresta nevosa fino alla seraccata. Le condizioni possono variare ma, negli anni recenti, questa barriera è stata superata attraverso un buco lasciato da un  seracco crollato. A partire da quota 7000 m un tiro su neve, di facile inclinazione e tendente a sinistra, permette di accedere agli ultimi lunghi tiri nevosi che portano all'altopiano sommitale. Solamente quando ci si aprirà davanti agli occhi lo splendido panorama che vede sullo sfondo come cornice perfetta l'Everest e in basso la lontana via commerciale del Nangpa La capiremo di essere arrivati in cima al Cho oyu ad una altezza di 8201 m.

I componenti della spedizione:

Daniele Nardi

Andrea Masini

Raffaele Cerelli

Pietro De Sanctis


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